Quaresima 2023

Stazione quaresimale a San Luca Evangelista

Il 3 marzo, primo incontro della Zona Pastorale contemplando le icone

SAN LAZZARO – Venerdì 3 marzo nella chiesa di San Luca Evangelista alla Cicogna ha avuto luogo il primo incontro delle stazioni quaresimali.

La riflessione sul Vangelo della domenica (Matteo 17, 1-9) è stata guidata da don Paolo Tasini davanti alle immagini dell’icona della Trasfigurazione e del mosaico di Sant’Apollinare in Classe (Ravenna)  con l’ausilio dalle seguenti letture

Vangelo (Matteo 17, 1-9)

1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Commento al Vangelo

Don Tasini 1 – Stazione quaresimale San Luca 3 marzo 23

 

Kallistos Ware. Monaco, vescovo metropolita

Non è una coincidenza che Cristo parli del portare la croce immediatamente prima della sua trasfigurazione, così non è una coincidenza che gli stessi tre discepoli siano presenti sia sulla cima della montagna sia all’agonia nel giardino del Getsemani. Testimoni della sua gloria increata, essi sono testimoni anche del suo “sfiguramento”.

Avvolti nella luce dell’eternità, essi parlano non delle gioie trascendenti del cielo, ma della kenosis sacrificale della crocifissione. Questo indica esattamente come la trasfigurazione debba essere compresa alla luce della crocifissione, e la crocifissione alla luce della trasfigurazione. Alla sommità del Tabor è piantata la croce; e, in parallelo, dietro al velo della carne crocifissa e sanguinante di Cristo sul Golgota dobbiamo discernere la presenza della luce increata della trasfigurazione. Gloria e sofferenza sono due aspetti di un unico, indiviso mistero. “Hanno crocifisso il Signore della gloria”, afferma san Paolo (1Cor 2,8): Cristo è tanto il Signore della gloria quando muore sulla croce quanto lo è quando è trasfigurato sul Tabor.

Tu fosti trasfigurato sulla montagna, e i tuoi discepoli videro la tua gloria, o Cristo nostro Dio, affinché essi fossero in grado di fare ciò: che cioè, quando ti avrebbero visto crocifisso, potessero sapere che la tua sofferenza era volontaria…

Al momento della crocifissione, poi, i discepoli devono ricordare la teofania sul Tabor, e devono comprendere che anche il Golgota è una teofania. La trasfigurazione e la passione sono ciascuna da comprendere in relazione reciproca, e ugualmente in termini di resurrezione. Il legame tra il Tabor e il Calvario è evidente non soltanto nella Scrittura e nei testi liturgici ma anche nell’iconografia. In quella che è la più antica rappresentazione della trasfigurazione giunta fino a noi (insieme al mosaico nell’abside della chiesa di santa Caterina del Sinai) – vale a dire il mosaico nell’abside di sant’Apollinare in Classe a Ravenna – il Cristo trasfigurato è mostrato proprio nella forma di una crux gemmata, una grande croce decorata con gemme preziose, che stende le sue braccia nel firmamento del cielo. L’interconnessione fra la trasfigurazione e la passione è qui proclamata in una maniera particolarmente singolare e memorabile.

Pietro voleva rimanere sulla cima della montagna, costruire tre tabernacoli, e così prolungare la visione (Mt 17,4). Ma Gesù non lo permette: insiste che essi scendano nuovamente nella pianura. Noi partecipiamo alla grazia della trasfigurazione non isolandoci dalla sofferenza del mondo ma coinvolgendo noi stessi in essa. La nostra esistenza quotidiana è trasfigurata esattamente nella misura in cui noi, ciascuno nella propria situazione, condividiamo la sofferenza, la solitudine e lo scoraggiamento di coloro che sono attorno a noi.

Tale è dunque la relazione portatrice di vita tra la gloria del monte Tabor e l’angoscia e la disperazione del mondo; tale è il messaggio del Salvatore trasfigurato alla razza umana sofferente; tale è il significato della trasfigurazione per il mondo contemporaneo. Tutte le cose sono capaci di trasfigurazione, ma tale trasfigurazione è possibile soltanto attraverso il portare la croce, come la chiesa ortodossa afferma ogni domenica al mattutino: “Contempla come, attraverso la croce, la gioia è giunta a tutto il mondo”.

Attraverso la croce: non c’è altra via. Per Cristo stesso e per tutti noi che cerchiamo di essere membra del suo corpo, gloria e sofferenza vanno insieme. Nella nostra vita come nella sua i due monti, Tabor e Calvario, formano un unico mistero. Essere cristiani significa condividere allo stesso tempo il sacrificio di sé sulla croce, e la grande gioia della trasfigurazione e della resurrezione. Presenti con Cristo nella gloria sulla cima della montagna, siamo anche presenti con lui al Getsemani e sul Golgota. Il paradosso della sofferenza e del male è risolto nell’esperienza della compassione e dell’amore . La trasfigurazione ci dona la guarigione proprio perché significa non una fuga dal male e un’alienazione dalla creazione decaduta, ma un coinvolgimento incondizionato e senza limiti in essa. La trasfigurazione conduce alla croce e la croce alla resurrezione: qui sta la nostra speranza certa.

Isaia aveva ragione nel dire che “egli ha portato le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori” (Is 53,4). La bellezza che è la salvezza del mondo è infatti sì la bellezza increata che risplende sul Tabor, ma questa stessa bellezza increata è manifestata nondimeno nel sacrificio della croce. La trasfigurazione di Cristo non ci permette di evadere da alcuna sofferenza, ma rende la nostra sofferenza creatrice e portatrice di vita: secondo le parole di san Paolo, “morenti, eppure viviamo … afflitti, ma sempre lieti” (2Cor 6,9-10)

Don Tasini 2 – Stazione quarresimale San Luca 3 marzo 23

 

“Due flauti suonano in modo diverso, ma uno stesso Spirito vi soffia dentro. Dice il primo: ‘Egli è il più bello tra i figli degli uomini’ (Sal 45,3);
e il secondo, con Isaia, dice: ‘Lo abbiamo visto: non
aveva più né bellezza, né decoro’ (Is 53,2). I due flauti sono suonati da un unico Spirito: essi dunque
non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirli, ma cercare di capirli. Interroghiamo
l’apostolo Paolo per sentire come ci spiega la perfetta armonia dei due flauti. Suoni il primo: ‘Il più
bello tra i figli degli uomini’; ‘benché avesse la forma di Dio, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio’ (Fil 2,6). Ecco in che cosa sorpassa in bellezza i figli degli uomini. Suoni
anche il secondo flauto: ‘Lo abbiamo visto: non aveva più né bellezza, né decoro’: questo perché
‘spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in
forma umana’ (Fil 2,7). ‘Egli non aveva bellezza né decoro’ per dare a te bellezza e decoro. Quale
bellezza? Quale decoro? L’amore della carità, affinché tu possa correre amando e amare correndo…
Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello” [17]. ( S. Agostino)
È l’amore con cui Cristo ci ha amati che trasfigura lui, “l’uomo dei dolori davanti a cui ci si
copre la faccia” (Is 53,3), nel “più bello dei figli degli uomini”: il crocefisso amore è la
bellezza che salva.

 

libretto STAZIONE QUARESIMALE SAN LUCA EVANGELISTA. pdf